28 settembre 2009
Le battute di Berlusconi
25 settembre 2009
L'Una tic / 3
C’è la mamma con la coda di cavallo, giovane bella, e il papà con molti più capelli.
Così dicono.
Domenica venti luglio.
Maria si sente male, ha forti dolori al ventre. Salvatore apre tutti cassetti del comò in camera da letto, tira fuori biancheria intima bianca, calzini di cotone bianchi, la camicia da notte di seta, bianca. Corre in bagno – spazzolino dentifricio sapone deodorante – recupera le pantofole rosa morbide, infila tutto in una borsa, suda copiosamente perché fa caldo, un caldo del diavolo. Maria inspira profondamente, in attesa sull’uscio, con il palmo della mano sul ventre gonfio, suda, guarda il marito, sorride.
È quasi sera.
Salvatore aiuta Maria a entrare nella Mini Minor rossa, si assicura che stia comoda, chiude lo sportello. Gira intorno all’auto per raggiungere il lato dell’autista. Prima di entrare dà uno sguardo in alto verso il cielo. L’azzurro ormai stinto, sta rapidamente facendo posto al grigio antracite del crepuscolo, anche se l’orizzonte dietro le montagne è ancora striato di un acceso rosso arancio. Salvatore pensa alla luna, pensa a quei tre coraggiosi lassù.
- Cazzo proprio la notte dell’allunaggio, borbotta tra le labbra, poi inspira e finalmente entra anche lui nella sua Mini Minor. Rossa.
- Attenzione tzz tzz un’antica leggenda tzz parla di una bellissima tzz tzz ragazza cinese che vive sulla luna tzz tz da quattromila anni tzz cercatela! dice qualcuno da Huston.
- La terremo d’occhio, risponde Collins.
Il futuro papà adesso è a casa, solo, seduto sul piccolo divano di finta pelle nera, davanti al suo nuovissimo Brionvega, doverosamente sintonizzato sulla telecronaca del Primo Canale. D'altra parte il ginecologo l’ha rassicurato.
- Stia tranquillo, vada pure a casa, si riposi, oppure se ha un televisore assista alla Storia, che tanto il suo bambino non verrà al mondo stanotte, non è ancora il momento.
Chissà però cosa danno sul Secondo Canale! Il fatto è che Salvatore non ha nessuna voglia di alzarsi per controllare e poi è proprio vero: qui si sta facendo la Storia! Sarà pure noiosa, ma è pur sempre
- Siamo a duecento metri tzz tzz cento cinquanta tzz tzz veniamo giù bene tzz tzz deviamo un po’ a destra tzz ecco fatto tzz tzz motore fermo. Il cuore del comandante Armstrong batte al ritmo di centocinquantasei pulsazioni al minuto.
Contrazioni e umori abbondanti tra le cosce. Si riversano caldi e appiccicosi sulle lenzuola di cotone bianco ruvido.
- Sto male! - grida Maria, suonando freneticamente il campanello una, due, tre, quattro volte. Un’infermiera alta, bionda, con le labbra spesse di rossetto rosso, arriva con calma, ciabattando rumorosamente, con la flemma e il cinismo di chi è abituato al dolore degli altri. È sgarbata, dice di stare tranquilla, di non fare storie, perché il bambino non nascerà quella notte, l’ha detto il medico, che altrimenti mica sarebbe corso a casa, anche lui ad assistere alla Storia, davanti alla telecronaca del Primo Canale.
- Ma io… per favore lo chiami! - ribatte Maria a denti stretti.
L’infermiera si avvicina per accertamenti, constata, si precipita fuori.
All’ingresso di Wapokoneta, Ohio, Stati Uniti d’America, c’è un cartello: “Benvenuti nella città di Neil Armstrong”. Sulla via principale ce ne sono altri, decine: “Benvenuti nella patria del primo lunare”. Il primo lunare. A Salvatore piace questa espressione.
Grida di donna e una voce calma, monotona, che dice: “spinga-su-su-brava-ancora-ancora-lavedo-latesta-su-su-così-ancoraunosforzo-brava”. Poi un suono secco, ciak, come lo schiocco di una frusta e infine un pianto acuto, stridulo, simile al miagolio gonfio di nostalgica malinconia di un gatto in calore.
Il comandante apre lo sportello. Scende al ralenti i pochi gradini della scaletta del Ragno. Si ferma sull'ultimo piolo per un istante interminabile. E' goffo e impacciato a causa della tuta e dell'equipaggiamento. A Salvatore ricorda l’omino della Michelin. Il modulo lunare invece gli sembra un po’ improbabile. Da lì a cinque anni qualcuno dirà che sembra uscito da un ovetto Kinder, un oggettino montabile in pochi semplici gesti piuttosto che la più avanzata macchina tecnologica possibile a quel tempo. In effetti sembra proprio fatto di carta stagnola. Ma Salvatore in quel preciso momento storico non può pensare tutto questo, perché gli ovetti Kinder non saranno sul mercato fino al 1974 e lui, a dirla tutta, di tecnologia spaziale non sa assolutamente nulla. Però la scena nel complesso gli ricorda uno di quei film di fantascienza degli anni Cinquanta, quelli dozzinali, di serie B, quelli che gli piacciono tanto e che guarda anche un po’ per farsi due risate sui mirabolanti e un po’ridicoli, effetti speciali. Chissà perché!
Finalmente Armstrong poggia il piede sinistro sul suolo della luna, sollevando un lieve sbuffo di polvere color peltro.
- Per un uomo questo è solo un piccolo passo in avanti, ma per l’umanità è un balzo gigantesco, dice. L’avranno scritta a Hollywood la battuta. Si sa, gli americani non lasciano mai nulla al caso.
21 settembre 2009
L'Una tic / 2
Mi voltai verso la finestra e cercai di concentrarmi sul ticchettio insistente della pioggia.Tic tic tic tic tic. Ultimamente i miei pensieri si arrovellavano intorno alla questione dell’inizio. Tic tic tic tic. Episodi lontani si rincorrevano nella mia mente senza sosta. Non appena uno riaffiorava dall’abisso, ecco che subito un altro faceva capolino, e poi un altro e così via, senza sosta, alla rinfusa. I ricordi riproducevano ricordi, in un inarrestabile effetto a valanga della memoria. D’altra parte il nostro passato, quello più recondito, è come se stesse quieto sotto uno specchio d’acqua densa. Se ti ci tuffi chissà se poi ne riemergi.
Io in quei giorni la guardavo da un’altezza davvero considerevole, quella maledetta pozza scura. Dall’orlo di una piattaforma olimpionica. Ormai bastava solo una piccola spintarella e ualà! Mortale triplo con avvitamento e finale carpiato e splash! Il caos. Buio. Il difficile era metterli in fila. I ricordi.
Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché… Tutte le storie cominciano così dopotutto. Da una selva oscura, un bagliore pian piano inizia a rischiarare il buio. E’ la speranza di un racconto. Si procede a tentoni, verso quel bagliore che contiene in sé la potenza di un sole. Oppure ci si perde nella notte più buia.
Era l’estate in cui per la prima volta gli uomini posero piede sulla luna. Ecco! Questa storia in particolare, potrebbe cominciare così. Era l’estate del Sessantanove. Lunedì ventun luglio per la precisione.
Tic tic tic tic. Inspirai. Tic tic. E trattenni il fiato. Tic tic tic tic tic tic. Mi sentivo in volo. Leggero. Come un paracadutista in balia del vento. Due sensazioni contrastanti. Libero e felice, desideravo lasciarmi cullare dall’aria. Ma anche anelavo l’approdo. Desideravo sentirmi nuovamente schiacciato sulla terra, al sicuro. Ad ogni modo avevo fatto il salto, stavo rotolando nell’aria, ancora un istante e – splash - avrei sentito intorno a me il freddo abbraccio di quel lurido fango. Chissà se sarebbe stato davvero l'inizio. Oppure invece la fine.
Il Grande piede stava per scendere l’ultimo piolo della scaletta del Ragno, esitò un istante poi affondò deciso nella polvere lunare. Da noi l’orologio segnava le ore quattro, cinquantasei minuti e trentun secondi. Sempre per la precisione. In una stanza asettica bianca - hueee, hueee, hueee - un neonato vagiva. Ecco, chi lo dice ad esempio che era bianca? Dovrebbe essere così, credo. Oppure no? Il fatto è che all’inizio l’essere è piuttosto corporale che razionale. Nel senso che respiri e strilli e ti caghi addosso in quantità industriali, ma sei ancora niente, una corpo senza coscienza, senza memoria. E' un fatto!
16 settembre 2009
L'Una tic
La città era avvolta in un velo liquido. I colori sfumavano nel biancoenero grigio delle foto d’epoca e a me sembrava quasi di soffocare. Pioveva.
Tic tic tic tic sul vetro della finestra. È strano: alcune gocce scivolano mute, a picco, sterzano, rallentano, quasi si fermano, proseguono, accelerano, spariscono. Rigano la superficie liscia, capillari esangui, fantasmi di rami senza foglie. Altre invece se ne stanno là, prodezza verticale, e si fanno scherno della gravità, divorano il tempo immobili.
Era quasi sera. Me ne stavo sdraiato sul letto disfatto, vestito e con le scarpe ai piedi. Fumavo, o forse tenevo semplicemente la sigaretta tra le dita in attesa che si consumasse. Per un po’ fissai il soffitto sopra la coltre di nebbia che saturava la stanza. Un braccio ripiegato sotto la nuca e l’altro, con in mano la cicca, teso sul comodino di fianco al letto. Quando l’unghia dell’indice cominciò a bruciarmi, mi voltai lentamente su un fianco.
Sul comodino un posacenere, un libro aperto a metà col dorso rivolto in su, uno zippo e una bustina di nailon. E dentro la bustina un francobollo.
Il filtro tra le dita, bordato di una suggestiva striscia arancio al neon stava per mandarmi a fuoco due falangi. Lo lasciai cadere nel posacenere, senza prendermi la briga di soffocare la combustione. Un po’ per indolenza, un po’ perché la mia attenzione era ormai tutta presa dalla bustina. Con dentro il francobollo. La presi, tenendola delicatamente tra il pollice e l’indice e la scrutai a lungo. Guardai la colla gialla, il disegno commemorativo, i dentini lungo i bordi. Un paio erano spariti, accidenti!
Con la mano libera presi lo zippo e senza pensarci szic, feci ruotare la rotella zigrinata sulla pietrina. Solo scintille e un penetrante odore di benzina. Szic szic, ancora niente. Szic Szic Szic, finalmente un esile lama gialla e blu prese corpo ondeggiando sinuosamente, come una danzatrice del ventre con le mani giunte sopra la testa.
Senza ulteriori esitazioni avvicinai la fiamma alla bustina. Un angolo sfrigolò e sparì come disintegrato, accartocciandosi su se stesso e fagocitando metà francobollo, che prese fuoco. Abbandonai il piccolo rogo a friggere nel posacenere e mi godetti lo spettacolo del serpente di fumo nero che saliva verso il soffitto diffondendo un odore acre, mentre coriandoli di fuliggine svolazzavano dappertutto.
15 settembre 2009
Oh My God!
Cha fortuna che abbiamo! Viviamo nell'epoca del più grande Primo Ministro della Storia della Repubblica Italiana... uomini in camicia verde ubriachi irrompono in un ristorante, spaccano tutto e malmenano i gestori solo perché stranieri; ragazzi gay picchiati a sangue; una tv di "Regime", appiattita su culi e tette; ciarlatani compiacenti o prezzolati che pretendono di essere considerati giornalisti come Littorio Feltri; navi zeppe di diseredati abbandonate e scacciate senza alcuna verifica (donne, bambini, perseguitati... chi se ne frega! meglio morti che a casa nostra); aspirazioni secessioniste; la nostra povera Italietta sberleffata ogni giorno in malomodo dalla stampa internazionale; Maroni, Gelmini; Brunetta! Che fortuna davvero... NON SIETE TUTTI ONORATI E FELICI?