Oggi il direttore del Giornale gongola. Per una vicenda legata a Luigi Saviano, padre di Roberto, può mettere alla gogna colui che nell'ultimo periodo si è dimostrato in prima linea in una battaglia per la giustizia e la libertà nel nostro maltrattato Paese. Il fatto è che parlare di giustizia e di libertà nella nostra Italietta contemporanea, si scontra immediatamente (strano a dirsi), con la visione berluscocratica della cosa pubblica (o meglio molto privata, del nostro Premier). E quindi le armate mediatiche di Sua Maestà, lesa, obbediscono e agiscono con forza per delegittimare, distruggere, annientare, senza preoccuparsi neppure di apparire troppo coerenti.
Non entro nel merito della vicenda legata al Dott. Luigi. Purtroppo credo che alcuni medici queste cose le facciano. Credo che l'Italia, a molti livelli sia corrotta e concusa. Credo che ci siano in giro troppi approfittatori, sedicenti furbi, truffatori, egoisti, esosi parassiti, concentrati tra tutti coloro che possiedono un minimo di posizione che gli permette appunto questi squallidi sotterfugi. A questo proposito la gente comune, l'enorme comunità degli onesti, che di certo è la maggioranza, dovrebbe reagire con fermezza, rivendicando con orgoglio il valore della propria onestà, contro queste irritanti "macchiette" di cui è particolarmente zeppa la politica (ma non solo).
Il Dottor Luigi però, non potrà sottrarsi al giudizio della Magistratura, né, se dovesse risultare colpevole del reato ascrittogli alla realtiva condanna. Ed è così che dovrebbero funzionare le cose. SEMPRE!
Ma non basta. Ci sono alcune domande specifiche che vorremmo a questo proposito rivolgere al direttore del Giornale.
Di che colore sono i Magistrati che stannno conducendo questa indagine? Sono di destra? Sono Berlusconiani? Sono complici di un complotto per delegittimare Roberto Saviano, personaggio particolarmente scomodo per il Presidente del Consiglio, in questi ultimi tempi?
Perché secondo voi la Magistratura opera così, no? Non fa il proprio dovere, ma agisce per meri fini politici.
E ancora: dov'è finita la presunzione di innocenza? Non siete voi i paladini dell'innocenza di Berlusconi, fino a prova contraria? Tanto da esser disposti a credere ciecamente nella sua "ricostruzione" dei fatti francamente incredibile, così pregna di idiozie (che sarebbero esilaranti, se la situazione non fosse tanto grave) talmente lampanti da far rabbrividire chiunque sia ancora in possesso di un barlume di buonsenso.
Dov'è finito dunque il Vostro garantismo?
E infine. State dicendo che avete le prove della colpevolezza di Luigi Saviano?
Ma soprattutto avete anche la comprovata certezza che Roberto Saviano possa essere stato complice o anche solo informato della presunta colpa del padre?
E' questo che state dicendo?
Perché se così non fosse, quale sarebbe esattamente il punto? Ci sarebbe dietro una sorta di assunto genetico lombrosiano o che altro?
Il fatto che un parente (o un amico o un conoscente) di un qualsiasi uomo si macchi di una qualche colpa, getta discredito nei confronti di quest'uomo? Rende meno nobili le sue battaglie, o addirittura meno giuste?
Perché se la proprietà transitiva vale per tutti, allora l'onorevole Minetti, dovrebbe per esempio rispondere anche dei chili di cocaina rinvenuti nell'auto di sua proprietà, quanto meno!
Ma io invece credo proprio di no. Ci sono alcuni tra noi, che nonostante voi, sono ancora capace di distinguere il valore dei contenuti di un discorso. Se alcune rivendicazioni sono sacrosante, lo restano, indipendentemente dal fatto che un amico di un cugino di terzo grado della moglie del nipote acquisito dell'uomo che le fa, una volta ha infilato la mano in un barattolo di marmellata che non gli apparteneva.
I contenuti, quando sono genuini, quando hanno valore, sono intoccabili e nessuno può infangarli, tanto meno dichiarati cortigiani e incoerenti pagliacci mediatici come voi, incapaci di portare avanti ragionamenti che presentino almeno un minimo di riconoscibile logicità. Voi potete, forse, infangare le persone (purtroppo), ma non le IDEE!
Per quanto concerne il Vostro idolo e padrone, invece, i processi coinvolgono proprio lui. Non un parente. Il Presidente del Consiglio, indegno in molti sensi, è lui. E' lui che da anni fa un uso privatissimo delle proprie funzioni. E' lui che, facendo anche leva su un "conflitto di interessi" grande come una casa, fabbrica consenso e tenta, spalleggiato dai suoi "bravi" lobotomizzati, di ridisegnare a piacimento le Istituzioni di questo Paese, senza curarsi di perpetrare danni ingenti, di cui poi noi dovremo subire le conseguenze.
Due pesi, due misure. Quale giornalista serio agirebbe in questo modo?
Appunto, mi sono risposto da solo!
24 febbraio 2011
22 febbraio 2011
Spunti per una politica culturale. Primarie del centrosinistra per il sindaco di Torino: Michele Curto.
Nel 2004 Michele Curto, con l’Associazione di cui allora era Presidente, organizzò in Polonia una manifestazione che si chiamava “Piemonte fabbrica di cultura”. È proprio da qui che si deve partire per il rilancio di una politica culturale nella nostra città. Trovo infatti che l’accostamento del concetto di “fabbrica” a quello di “cultura” sia assolutamente lungimirante e per molti versi ancora incompreso da buona parte dei rappresentanti della nostra politica. Chi governa deve prendere atto che la cultura oltre a essere un bene di per sé, che è necessario valorizzare e salvaguardare, preoccupandosene e avendone cura come un buon padre di famiglia, rappresenta anche la concreta possibilità di nuove opportunità di lavoro in un settore non ancora profondamente esplorato, come meriterebbe. Perché se è evidente che l’impegno economico pubblico debba andare nella direzione del sostegno al basso reddito e del rilancio dei settori in difficoltà, che più stanno risentendo della crisi economica, è necessario anche prendere lucidamente atto delle trasformazioni in corso e tentare di tracciare linee di intervento innovative che creino nuovi spazi e nuove opportunità.
La cultura, in questo senso, rappresenta assolutamente un’opportunità!
Torino come “fabbrica di cultura” implica la necessità che ci siano sempre più addetti ai lavori, Associazioni, Società private, giovani artisti in grado di “produrre”, proprio così, produrre in ambito culturale. Torino, oggi più che mai, non può essere solo automobile, seppure l’automobile deve restare o meglio diventare di nuovo (e per questo ci si deve battere) una delle eccellenze distintive della nostra città. Perché se Torino ha avuto tanto dalla Fiat, ha in verità dato ancora di più, soprattutto in termini umani e se è stato giusto dare, a maggior ragione è oggi giusto pretendere.
È bene dirlo però: in Piemonte, negli ultimi dieci anni, le istituzioni hanno già cominciato a lavorare per la Cultura. E la cultura ha risposto. Eccellenze come il Museo Nazionale del Cinema, i festival del cinema torinesi, la Film Commission Torino Piemonte, i fondi come FIP, Torino Film Lab, Piemonte Doc Film Fund, con l’aiuto della Regione e del Comune, hanno rivitalizzato un settore che aveva perso centralità nella nostra città, dopo appena una breve parentesi, proprio agli albori dell’avventura cinematografica dei primi del Novecento, per sparire prestissimo nel nostalgico ricordo di uno splendore che semplicemente fu.
Oggi, possiamo nuovamente affermare che intorno al cinema, a Torino, ruota un’industria di tutto rispetto che porta in città parecchi milioni di Euro ogni anno e che intorno alle produzioni cinematografiche e televisive, ad esempio, ma non solo, ha cominciato a creare un indotto che può e deve crescere ancora. Ovvio poi che la politica culturale debba lavorare in sinergia con una politica del turismo, che sia attiva e responsabile, non semplicemente passiva. Non basta aprire un Museo e attenderne gli eventuali visitatori, anche se è sicuramente necessario diversificare e accrescere l’offerta, occorrono poi anche iniziative distintive, occorre rispondere in modo convincente alla domanda “perché Torino?”. Non basta che noi Torinesi ne siamo convinti, che noi sappiamo che ne valga la pena, perché la nostra città è chiaramente meravigliosa. È necessario mettere insieme forze che convincano tutti gli altri che è davvero così.
Tutto ciò dimostra, se ce ne fosse bisogno, quanto fosse miope la dichiarazione di Giulio Tremonti, che “con la Cultura non si mangia”. Perché invece si mangia eccome. L’incapacità prospettica della classe dirigente attuale si condensa proprio in affermazioni di questi tipo. Si condensa nei tagli all’Istruzione e alla Cultura, unico Paese in Europa ad andare in questa direzione, evidentemente considerati ambiti di spesa, non solo qualsiasi, ma come una voce semplicemente in perdita, che non offre nulla in cambio. Come se la colpa non fosse invece proprio della politica, responsabile dell’uso che fa delle risorse a disposizione. Ma svendere la cultura rappresenta un modo di ragionare pericolosissimo, che mina alle fondamenta la costruzione di una società davvero civile.
Ciò però dimostra che in questa direzione si può e si deve fare ancora molto.
Il rilancio di una politica culturale passa ovviamente e prima di tutto attraverso l’istruzione. La città deve impegnarsi in questo senso, rinunciando per esempio alle grandi opere per porre maggiore attenzione invece alle piccole realtà, gli edifici scolastici innanzitutto, che sono il sacro tempio ove si costruisce il futuro dell’intero Paese, non solo di Torino. I ragazzi devono poter formare le proprie coscienze in un ambiente innanzitutto idoneo e che offra le necessarie attrezzature al passo con i tempi e con l’offerta degli altri Paesi della Comunità Europea. Ma la scuola deve anche e soprattutto offrire spazi di crescita personale. I ragazzi hanno bisogno di essere responsabilizzati molto prima di quanto avvenga oggi. Devono poter proporre le proprie idee, decidere, credere, seguire e realizzare concretamente propri progetti didattici: che ciò possa essere rappresentato dalla realizzazione di una rivista, di un cortometraggio, di una sceneggiatura, di un testo teatrale o di una rappresentazione vera e propria, di una raccolta di racconti, di poesie, di saggi o di fotografie, dalla realizzazione di un sito web o di un business plan o di tutte queste cose, poco importa. L’importante è affiancare alla didattica tradizionale, pur sempre essenziale, delle nuove opportunità di esperienza collettiva, trasmettere il valore del confronto e della discussione costruttiva, generatrice di idee e fondamentale per la crescita intellettuale dei nostri giovani. Se necessario la città deve farsi carico di affiancare agli insegnanti anche professionisti e tecnici di settore, capaci di portare nelle scuole progetti innovativi e concreti, attraverso le iniziative di associazioni per esempio, senza disdegnare una proficua collaborazione con le realtà private operanti sul territorio, a tutto vantaggio dell’istruzione pubblica. È poi necessario prendere coscienza seriamente dei cambiamenti culturali, tecnologici e etnici della nostra società, creando integrazione e valorizzando le differenze, nella direzione della creazione di una società nuova. Il rispetto delle tradizioni culturali del nostro Paese non deve tradursi in accanimento reazionario, in una totale impermeabilità a recepire l’altro come individuo, con la propria unicità e la propria ricchezza culturale. Comprendere che l’altro può accrescerci in quanto persona è il punto di partenza per una politica del rispetto. La necessità dell’uguaglianza non deve significare l’obbligo di conformarsi, tutt’altro.
Fino ad oggi, quotidianamente, l’attuale politica disinsegna cosa sia un reale/leale confronto, il quale è sempre generatore di una sintesi positiva. Ci mostra invece come unica possibilità di dialogo, o meglio di non-dialogo, il circolo vizioso del contrasto insanabile e della contrapposizione irriducibile, facendo del conflitto l’unica possibilità di espressione del confronto politico. A mio parere succede perché la politica non riesce a riconoscere più il proprio fine ultimo, ovvero la realizzazione di progetti che conducano al bene comune, essendo quasi esclusivamente espressione di tanti “Io”, incapace di tradursi in un altruistico “Noi”.
Se la scuola, innanzitutto, saprà diventare l’espressione di un Noi e la cultura multicolore della società del futuro, che per ora possiamo solo immaginare e sperare, diventare il fulcro dell’aggregazione e di un dialogo vero tra le differenze, allora forse potremo sperare in una comunità più giusta e più equa. Ma per riuscirci, Noi, proprio tutti Noi, a cominciare dai cittadini della nostra stupenda città, dobbiamo impegnarci. Proprio per noi stessi. “Noi” deve diventare contemporaneamente il soggetto e l’oggetto della politica.
Ecco perché Michele Curto!
Perché pur essendo un politico in tutti i sensi, egli è fuori dalla politica. Perché contrariamente alla politica dei partiti, che si dimostra fuori dalla comunità e la guarda da lontano, dall’alto del proprio arrogante snobismo, Michele invece è uno di Noi, e opera e vive dentro la comunità e il suo lavoro in essa e per essa, comincia dal basso, con il suo documentato e documentabile impegno sociale e civile.
In questo senso Michele è un giovane che ha già un’enorme esperienza, autentica e concreta ed è consapevole, almeno lui, a differenza della politica tradizionale che pretende di avere in tasca ogni soluzione, ma poi nulla risolve, che non può farcela da solo. Anzi non vuole farcela da solo, perché appunto vuole invece essere
14 febbraio 2011
L’ultima furbata dei “Berluscones”, ma chi ci casca è davvero sprovveduto!
Giuliano Ferrara, con un’arringa a difesa di Berlusconi, durata più di sei minuti durante il telegiornale di Rai Uno (sottolineo che ho da poco pagato il canone e ho intenzione di denunciare la direzione della Rai per l’uso indegno che si fa del mio denaro), ha esplicitato definitivamente come la potenza di fuoco mediatica del Premier si muoverà nei prossimi giorni per sgonfiare il caso Ruby, distogliere, abbindolare, annichilire, raggirare, obnubilare le menti (ci si augura solo le più deboli) degli Italiani. Chi critica il Presidente del Consiglio, chi dice basta con le “berlusconate” altro non sarebbe che un puritano, moralista e giacobino. Le medesime parole vengono ripetute dai giornalisti asserviti al padrone, sui propri quotidiani e in ogni tribuna televisiva in cui vengono invitati, attraverso i telegiornali conniventi, le ripete come un mantra l’irriducibile Santanché, mentre Liguori mostra le proprie mutande in un videomessaggio come a ribadire che in tutta questa vicenda in fondo si sta semplicemente parlando di questo, di semplici affari privati di un uomo adulto, di un semplice fatto di mutande appunto. E noialtri (gente perbene, semplicemente stufi di essere “sgovernati”) altro non saremmo che voyeur interessati alle mutande del Premier o a quelle delle “papigirls”.
Sorvoliamo sull’accusa di puritanesimo e giacobinismo, che fa solo sorridere per quanto sia inadeguata al caso specifico, ma d’altra parte questa gente, questi cialtroni della politica e del linguaggio, hanno talmente svuotato di significato parole e concetti e con essi le relative idee, che non stupisce che si riempiano la bocca di parole utili ormai solo a ingenerare confusione. Soffermiamoci invece sull’accusa di moralismo. Diciamo subito che pretendere di discutere di “morale” non è affatto moralismo. Pretendere un comportamento corretto, etico, da parte di chi è chiamato a governare un Paese, non è moralismo. Veniamo tacciati di moralismo in quanto ci permettiamo di suscitare (confortati dalle inchieste in corso - non solo quelle direttamente collegate al Premier: si pensi al caso Scajola, alle vicende varie legate al Dr. Bertolaso, all’onorevole Fitto, all’onorevole Cosentino, alle vicende di corruzione della Lega al Nord e così via - dalla deriva economica di questo Paese, da quasi quindici anni di governo insufficiente e inefficace) delle legittime perplessità sulla condotta istituzionale (e non quella nella sala del Bunga Bunga), ripeto "istituzionale" del Presidente del Consiglio, mentre loro, come le tre scimmie si tappano le orecchie, si coprono gli occhi, e al posto della bocca si tappano pure il naso. La bocca no ovviamente, quella la usano eccome, senza scrupoli, senza preoccuparsi dei danni che fanno. Chi oggi infatti nega che il problema esista, chi si stringe acriticamente intorno a Silvio Berlusconi è in malafede e tacciando tutti gli altri di moralismo, mostra invece chiaramente la propria totale amoralità, anzi la propria immoralità. Perché è proprio questo il punto. La moralità è un valore che va salvaguardato, accidenti! E mi riferisco a una moralità laica, non cattolica o religiosa. E cos’è la morale laica se non il rispetto dell’altro, delle regole basilari di una convivenza civile e infine ovviamente il rispetto della legge? Berlusconi, da sempre, palesemente, con un’arroganza senza precedenti, si dimostra insensibile nei confronti di ognuna di queste istanze. Rispetta solo se stesso e i propri bisogni. Usa la propria posizione di potere a scopi personali: costringendo i suoi “bravi” a legiferare ad personam, regalando alle proprie giovani protette, guidato da meri criteri sessocratici, posizioni di rilievo nella classe dirigente di questo Paese, sfruttando il proprio potere mediatico e facendo con ciò scempio di uno dei capisaldi fondamentali di qualsiasi democrazia degna di questo nome, ovvero del diritto all’informazione, spaccando le istituzioni, delegittimando a proprio comodo gli altri poteri dello Stato, tranne il proprio, usando come grimaldello il popolo e la volontà popolare, nel frattempo cooptato costruendo consenso con un populismo e una demagogia tipica dei sovrani o dei dittatori. Il popolo è invece sovrano solo quando e se fa comodo a lui, appunto. Quelli che dissentono non sono popolo, vengono liquidati, come moralisti, puritani, eversivi, comunisti, radical chic. Il popolo è buono solo se si comporta come le pecore con il pastore. Utile a dare la lana (ovvero ricchezza al pastore) e al massimo gli è concesso di belare sommessamente, senza disturbare. Questo è il mondo di Berlusconi. Cosa c’entra il moralismo? Dovrebbe essere chiaro a tutti che qui non sono in gioco i festini privati di Berlusconi. Non se il palo della lap dance diventa il criterio di selezione della classe dirigente del Paese.
Il sistema di Berlusconi è evidentemente e chiaramente, sotto ogni punto di vista, malato. Le prove siedono appunto al Consiglio regionale della Lombardia e addirittura al tavolo dei Ministri, non occorrono intercettazioni o invasioni della Privacy per vederle. L’inadeguatezza di Berlusconi, la sua immoralità istituzionale è, o dovrebbe essere, sotto gli occhi di tutti. Non è accettabile delegittimare a convenienza la Magistratura (quella stessa che ha condannato Cesare Battisti, la cui mancata estradizione dal Brasile ha indignato tutti, compresi i nostri parlamentari che sostengono il Premier; quella stessa che ha inferto numerosi colpi alla criminalità organizzata, lasciando silenziosamente che fosse il borioso Ministro degli Interni ad arrogarsene i meriti), poiché senza il rispetto della separazione dei poteri, senza la fiducia nel processo giusto e nella possibilità di una difesa nelle sedi appropriate, nel totale rispetto dei meccanismi previsti dalla legge (tanto più che Berlusconi non è un cittadino qualunque e dunque è già solo per questo un privilegiato di fronte alla legge), al di fuori di tali sacrosanti punti fermi istituzionali è solo caos, che cela un intento quello sì eversivo, che va fermato, senza se e senza ma. Lo ricordiamo, se ce ne fosse bisogno, al Presidente della Repubblica.
Fa sorridere poi che proprio coloro che si battono strenuamente contro il diritto di vivere liberamente la propria sessualità, per esempio tra persone dello stesso sesso, oggi tacciano di puritanesimo e di moralismo tutti gli altri. La libertà sessuale vale solo in casa del nostro presidente del Consiglio: meglio un uomo in là con l’età che si compiace, quanto meno, delle danze erotiche di una ragazza minorenne, piuttosto che due uomini o due donne adulti, padroni della propria vita, che amandosi decidono di condividere un percorso esistenziale insieme. Per la carità! Ebbene è questo è moralismo, caro Ferrara. Moralismo è impedirmi di decidere liberamente, in certe circostanze, come morire, ad esempio. Pretendere un comportamento consono al proprio mandato, da parte di chi è chiamato a governare un Paese, invece, pretenderne un’etica lucidità, quando si tratta di scegliere i propri collaboratori ad esempio, pretendere che siano i migliori possibili e non semplicemente cortigiani compiacenti, giullari e escort, chiedere di essere trattati, noi tutti, uomini e donne, con dignità, qualunque sia il nostro orientamento religioso, sessuale, qualunque sia la nostra razza, indipendentemente se viviamo nel nord o nel sud del nostro amato Paese, questo non è affatto moralismo. E chi oggi vuole liquidare in questo modo le voci, sempre più forti, che tentano di portare alle orecchie dei potenti queste sacrosante istanze è in malafede. E se grida come un ossesso per zittirle, scegliendo come scenografia una pagliacciata di mutande stese sul filo della propria immoralità, altro non è che un indecente farabutto!
Sorvoliamo sull’accusa di puritanesimo e giacobinismo, che fa solo sorridere per quanto sia inadeguata al caso specifico, ma d’altra parte questa gente, questi cialtroni della politica e del linguaggio, hanno talmente svuotato di significato parole e concetti e con essi le relative idee, che non stupisce che si riempiano la bocca di parole utili ormai solo a ingenerare confusione. Soffermiamoci invece sull’accusa di moralismo. Diciamo subito che pretendere di discutere di “morale” non è affatto moralismo. Pretendere un comportamento corretto, etico, da parte di chi è chiamato a governare un Paese, non è moralismo. Veniamo tacciati di moralismo in quanto ci permettiamo di suscitare (confortati dalle inchieste in corso - non solo quelle direttamente collegate al Premier: si pensi al caso Scajola, alle vicende varie legate al Dr. Bertolaso, all’onorevole Fitto, all’onorevole Cosentino, alle vicende di corruzione della Lega al Nord e così via - dalla deriva economica di questo Paese, da quasi quindici anni di governo insufficiente e inefficace) delle legittime perplessità sulla condotta istituzionale (e non quella nella sala del Bunga Bunga), ripeto "istituzionale" del Presidente del Consiglio, mentre loro, come le tre scimmie si tappano le orecchie, si coprono gli occhi, e al posto della bocca si tappano pure il naso. La bocca no ovviamente, quella la usano eccome, senza scrupoli, senza preoccuparsi dei danni che fanno. Chi oggi infatti nega che il problema esista, chi si stringe acriticamente intorno a Silvio Berlusconi è in malafede e tacciando tutti gli altri di moralismo, mostra invece chiaramente la propria totale amoralità, anzi la propria immoralità. Perché è proprio questo il punto. La moralità è un valore che va salvaguardato, accidenti! E mi riferisco a una moralità laica, non cattolica o religiosa. E cos’è la morale laica se non il rispetto dell’altro, delle regole basilari di una convivenza civile e infine ovviamente il rispetto della legge? Berlusconi, da sempre, palesemente, con un’arroganza senza precedenti, si dimostra insensibile nei confronti di ognuna di queste istanze. Rispetta solo se stesso e i propri bisogni. Usa la propria posizione di potere a scopi personali: costringendo i suoi “bravi” a legiferare ad personam, regalando alle proprie giovani protette, guidato da meri criteri sessocratici, posizioni di rilievo nella classe dirigente di questo Paese, sfruttando il proprio potere mediatico e facendo con ciò scempio di uno dei capisaldi fondamentali di qualsiasi democrazia degna di questo nome, ovvero del diritto all’informazione, spaccando le istituzioni, delegittimando a proprio comodo gli altri poteri dello Stato, tranne il proprio, usando come grimaldello il popolo e la volontà popolare, nel frattempo cooptato costruendo consenso con un populismo e una demagogia tipica dei sovrani o dei dittatori. Il popolo è invece sovrano solo quando e se fa comodo a lui, appunto. Quelli che dissentono non sono popolo, vengono liquidati, come moralisti, puritani, eversivi, comunisti, radical chic. Il popolo è buono solo se si comporta come le pecore con il pastore. Utile a dare la lana (ovvero ricchezza al pastore) e al massimo gli è concesso di belare sommessamente, senza disturbare. Questo è il mondo di Berlusconi. Cosa c’entra il moralismo? Dovrebbe essere chiaro a tutti che qui non sono in gioco i festini privati di Berlusconi. Non se il palo della lap dance diventa il criterio di selezione della classe dirigente del Paese.
Il sistema di Berlusconi è evidentemente e chiaramente, sotto ogni punto di vista, malato. Le prove siedono appunto al Consiglio regionale della Lombardia e addirittura al tavolo dei Ministri, non occorrono intercettazioni o invasioni della Privacy per vederle. L’inadeguatezza di Berlusconi, la sua immoralità istituzionale è, o dovrebbe essere, sotto gli occhi di tutti. Non è accettabile delegittimare a convenienza la Magistratura (quella stessa che ha condannato Cesare Battisti, la cui mancata estradizione dal Brasile ha indignato tutti, compresi i nostri parlamentari che sostengono il Premier; quella stessa che ha inferto numerosi colpi alla criminalità organizzata, lasciando silenziosamente che fosse il borioso Ministro degli Interni ad arrogarsene i meriti), poiché senza il rispetto della separazione dei poteri, senza la fiducia nel processo giusto e nella possibilità di una difesa nelle sedi appropriate, nel totale rispetto dei meccanismi previsti dalla legge (tanto più che Berlusconi non è un cittadino qualunque e dunque è già solo per questo un privilegiato di fronte alla legge), al di fuori di tali sacrosanti punti fermi istituzionali è solo caos, che cela un intento quello sì eversivo, che va fermato, senza se e senza ma. Lo ricordiamo, se ce ne fosse bisogno, al Presidente della Repubblica.
Fa sorridere poi che proprio coloro che si battono strenuamente contro il diritto di vivere liberamente la propria sessualità, per esempio tra persone dello stesso sesso, oggi tacciano di puritanesimo e di moralismo tutti gli altri. La libertà sessuale vale solo in casa del nostro presidente del Consiglio: meglio un uomo in là con l’età che si compiace, quanto meno, delle danze erotiche di una ragazza minorenne, piuttosto che due uomini o due donne adulti, padroni della propria vita, che amandosi decidono di condividere un percorso esistenziale insieme. Per la carità! Ebbene è questo è moralismo, caro Ferrara. Moralismo è impedirmi di decidere liberamente, in certe circostanze, come morire, ad esempio. Pretendere un comportamento consono al proprio mandato, da parte di chi è chiamato a governare un Paese, invece, pretenderne un’etica lucidità, quando si tratta di scegliere i propri collaboratori ad esempio, pretendere che siano i migliori possibili e non semplicemente cortigiani compiacenti, giullari e escort, chiedere di essere trattati, noi tutti, uomini e donne, con dignità, qualunque sia il nostro orientamento religioso, sessuale, qualunque sia la nostra razza, indipendentemente se viviamo nel nord o nel sud del nostro amato Paese, questo non è affatto moralismo. E chi oggi vuole liquidare in questo modo le voci, sempre più forti, che tentano di portare alle orecchie dei potenti queste sacrosante istanze è in malafede. E se grida come un ossesso per zittirle, scegliendo come scenografia una pagliacciata di mutande stese sul filo della propria immoralità, altro non è che un indecente farabutto!
07 febbraio 2011
Io sto con Torino, io sto con Michele Curto
Ho conosciuto Michele Curto nel 2004. Allora era già presidente dell’Associazione Terra del Fuoco e mostrava un carisma sorprendente e un curriculum già fitto e importante sebbene avesse solo 24 anni. Io allora lavoravo nell’organizzazione del Torino Film Festival e il motivo principale del nostro incontro fu la manifestazione Piemonte Fabbrica di Cultura, un settimana di cultura e arte piemontese a Cracovia in Polonia, che come molte delle cose di cui Michele è “ispirato ispiratore”, fu un successo non solo in termini numerici, ma lo fu, anche e soprattutto, umanamente. Già, perché Michele è credibile innanzitutto perché è capace, in tutto ciò che fa, di coinvolgere le emozioni. I “professionisti della politica” dimostrano, oggi più che mai, di ragionare troppo con la testa e troppo poco con il cuore. E troppa testa porta troppo spesso a confondere il mezzo con il fine. Accaparrarsi un posto, in Consiglio, in Parlamento, significa per molti la conclusione di un percorso, anziché l’inizio. Non credo sia così per Michele. Da quando lo conosco lui è sempre stato una persona orgogliosamente all’inizio di un percorso, nel senso che il suo atteggiamento mi è sempre parso di costruttiva insoddisfazione. Ogni giorno un inizio, ogni giorno di nuovo. Perché Michele non si accontenta di un successo, per lui rappresenta sempre e solo una tappa da cui ripartire per fare meglio, per fare ancora di più.
Michele è insomma un politico vero, nel senso (se oggi fosse ancora possibile nello squallore ristagnante della nostra politica rintracciarne la reale natura etimologica) più eroico del termine. Il politico è, o dovrebbe essere, colui che in quanto particolarmente accorto e sagace, scelto tra i migliori di noi, si assume la responsabilità di amministrare la cosa pubblica nell'interesse comune. Scelto tra i migliori appunto, non tra i più noti, famosi o famigerati che siano e neppure tra i più anziani. Una volta forse poteva essere vero. Più anziano significava spesso più saggio. Ma molti anziani della nostra politica, coloro per i quali la politica (non nel senso di amministrazione della cosa pubblica, ma proprio la politica in quanto apparato fine a se stesso) è diventata solo una remunerativa professione, hanno ampiamente dimostrato di non essere capaci di fare tesoro della propria esperienza anagrafica e il tempo per mostrarsi “saggi” è ormai definitivamente scaduto. Ora tocca a qualcun altro. Ci sono persone per cui la saggezza è un fatto innato, indipendente dall’anagrafe. Troppo spesso questi talenti restano nell’anonimato, specie in questa Italia anti-meritocratica e vecchia, ma talvolta, come è capitato a Michele, nonostante arroganti correnti contrarie, riescono comunque ad emergere, proprio come fosse destino.
Il treno ad altissima velocità del nostro futuro, capita che qualche volta si fermi proprio alla nostra stazione, ma solo per poco, un attimo. Sta a noi prenderlo al volo, non farsi sfuggire l’opportunità.
Questo treno è qui adesso, fermo con le porte spalancate. Molti sono già saliti, altri stupiti per questo arrivo inatteso si attardano. Affrettatevi, prima del fischio del capostazione. Partite insieme a Michele, insieme a Noi per questo viaggio. Chissà quando il treno si fermerà di nuovo. Il momento è adesso. Se non ora, quando?
Con i miei migliori auguri.
Michele è insomma un politico vero, nel senso (se oggi fosse ancora possibile nello squallore ristagnante della nostra politica rintracciarne la reale natura etimologica) più eroico del termine. Il politico è, o dovrebbe essere, colui che in quanto particolarmente accorto e sagace, scelto tra i migliori di noi, si assume la responsabilità di amministrare la cosa pubblica nell'interesse comune. Scelto tra i migliori appunto, non tra i più noti, famosi o famigerati che siano e neppure tra i più anziani. Una volta forse poteva essere vero. Più anziano significava spesso più saggio. Ma molti anziani della nostra politica, coloro per i quali la politica (non nel senso di amministrazione della cosa pubblica, ma proprio la politica in quanto apparato fine a se stesso) è diventata solo una remunerativa professione, hanno ampiamente dimostrato di non essere capaci di fare tesoro della propria esperienza anagrafica e il tempo per mostrarsi “saggi” è ormai definitivamente scaduto. Ora tocca a qualcun altro. Ci sono persone per cui la saggezza è un fatto innato, indipendente dall’anagrafe. Troppo spesso questi talenti restano nell’anonimato, specie in questa Italia anti-meritocratica e vecchia, ma talvolta, come è capitato a Michele, nonostante arroganti correnti contrarie, riescono comunque ad emergere, proprio come fosse destino.
Il treno ad altissima velocità del nostro futuro, capita che qualche volta si fermi proprio alla nostra stazione, ma solo per poco, un attimo. Sta a noi prenderlo al volo, non farsi sfuggire l’opportunità.
Questo treno è qui adesso, fermo con le porte spalancate. Molti sono già saliti, altri stupiti per questo arrivo inatteso si attardano. Affrettatevi, prima del fischio del capostazione. Partite insieme a Michele, insieme a Noi per questo viaggio. Chissà quando il treno si fermerà di nuovo. Il momento è adesso. Se non ora, quando?
Con i miei migliori auguri.
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